![Il romanzo “Voglio scrivere per Vanity Fair” di Emma Travet Il romanzo "Voglio scrivere per Vanity Fair" di Emma Travet](https://www.emmatravet.com/wp-content/uploads/2015/05/emma-travet-voglio-scrivere-per-vanity-fair-erica-vagliengo-goware.jpg)
da un estratto del primo capitolo di “Voglio scrivere per Vanity Fair”
Addio al nubilato a Londra (sola)
Tataratta-tatta-tatta-tararata (sigla polifonica di Sex and the City per cellulare) Lo so, ce l’ho da quattro anni, forse sarebbe ora di cambiarla, ma ora ho altro a cui pensare… Nooo. Ma non può chiamarmi anche adesso che sto quasi per decollare. Però sono obbligata a premere il tasto verde. «Ehmmm, pronto?». «Ma quanto ci metti a rispondere? Non ho mica tutto il giorno da perdere aspettando che trovi il cellulare in quel tuo casino di borsa.Allora, Emma, ascoltami bene: ti sei portata dietro il tablet? Il registratore? Mica ti sei scordata il limoncello di Capri? Hai preso anche i cioccolatini Galup? Vedi di farmi fare bella figura con Sally, altrimenti, al tuo rientro troverai un biglietto di licenziamento sul computer».
ph just me
La voce dall’altra parte è quella di Mr Vintage, il mio capo, che chiamo così non perché sia cool, ma perché indossa solo vestiti datati che odorano di naftalina. Come il suo cervello del resto. Cinquantadue anni, un’ex moglie sessuologa psicoterapeuta che l’ha lasciato per una curatrice di mostre d’arte, un figlio tredicenne idiota (che si anima solo davanti alla Play), e quadri di Hopper sparsi per tutta la casa (ricordo del viaggio di nozze in America). Per anni ha lavorato come commerciale per il settimanale locale “La “Voce del Monviso”. Poi è passato a vicedirettore, e infine a direttore vero e proprio. Io, invece, sono una sfigata giornalista pubblicista di ventisei anni. I miei sogni di gloria si sono subito infranti contro la cravatta di Paperino indossata da Mr Vintage, il giorno in cui ho firmato il contratto da co.co.pro. (collaborazione coordinata a progetto. Cioè: “Complimenti, ti stiamo prendendo in giro con il tuo consenso, ti spremeremo finché ci sarai utile e poi ti lasceremo a casa, senza indennità di disoccupazione, maternità, contributi. E nel caso non ti andasse bene il contratto non c’è problema, chiameremo un altro sfigato come te, tanto la fila è lunga”). In sintesi: 549 euro (netti) al mese, per quaranta ore settimanali, straordinari e ferie esclusi, un misero tetto per i rimborsi. Mentre stavo per firmare ho pensato che avrei guadagnato di più a fare la cassiera al supermercato. Magari mi avrebbero dato un part time, con un contratto a tempo indeterminato, tredicesima, ferie pagate e tempo libero da dedicare allo scrivere. E forse sarei diventata famosa come Anna Sam, l’autrice de Le tribolazioni di una cassiera, che dopo aver lavorato nella grande distribuzione, si è licenziata per dedicarsi, grazie ai diritti del libro, alle sue passioni. Ma ho firmato lo stesso, con la speranza che in futuro la faccenda sarebbe cambiata. Sono trascorsi due anni e tutto è come prima. Solo il costo della vita è aumentato. Così, per arrotondare, mi sono inventata copy writer e ufficio stampa per chiunque mi paghi. E, giusto per gradire, tra un mese mi sposerò. «Certo, ho preso regali, registratore e tablet. Ora, mi spiace, ma devo proprio lasciarla. Stiamo per partire. Ci sentiamo quando sarò arrivata». Sento che sta sbraitando qualcosa, ma chiudo lo stesso. Fantastico! Per quattro giorni non vedrò la sua faccia paonazza, i capelli unti di brillantina e quegli orrendi completi beige, anni Ottanta, con spalline spesse sei centimetri.